mercoledì 5 febbraio 2014

Philip Seymour Hoffman's Light Touch



di James Franco

Non conoscevo Philip Seymour Hoffman di persona. L'ho incontrato poche volte. La prima, all'inizio degli anni 2000, in un bagno del MCC Theatre, durante l'intervallo di The Glory of Living, una commedia con Anna Paquin, diretta da lui. Ci guardammo, ma nessuno disse niente. All'epoca mi sentivo troppo in soggezione davanti a lui per iniziare a chiacchierare. Ricordo che lui rideva più ad alta voce di tutti a teatro e mi commosse il supporto che dava ai suoi attori sul palco. L'ho incontrato una seconda volta nel 2006, durante la festa annuale data per gli Oscar da Jeffrey Katzenberg al Beverly Hilton Hotel. Era l'anno in cui era in lizza per l'Oscar con Capote. Sapete tutti com'è andata a finire: vinse il premio per il Migliore Attore e rese un forte tributo a sua madre durante il discorso, che ancora mi rimbomba in testa.



Che annata per gli attori quella! Il grande Heath Ledger era nominato per Brokeback Mountain e il Joaquin Phoenix pre-mocumentary ci aveva sbalorditi con la sua interpretazione in Walk the Line. Ma fu Philip a ricordarci la potenza del tocco leggero, della misura. Ieri mattina, qualcuno, sconvolto per come un attore che sembrava avere il mondo ai suoi piedi potesse buttare tutto all'aria, paragonò Philip a Marlon Brando. Io di certo non concordo con il fatto che abbia buttato tutto all'aria, ma sulla seconda parte sì. Philip, come Brando aveva un potere innato. Era una forza della natura. La potenza emotiva che esprimeva con il viso era pari a quella di un'esplosione. Io credo che Philip lo sapesse e che sfruttasse questa caratteristica come Marlon Brando—coprendola con il velo della misura. Pensate a Fronte del Porto, Il Selvaggio, Il Padrino o Ultimo Tango a Parigi e ricorderete un uragano soffocato dall'eleganza di un uomo che parla con il tono alto dei poeti. Pensate a Philip in Happiness, Magnolia, Capote, Mission Impossible III, La Guerra di Charlie Wilson e Il Dubbio e ricorderete la forza di un attore americano che recita in modo pacato, ma solo in apparenza, perché le sue interpretazioni sono un pugno nello stomaco, per quanto profondamente comprendeva l'umanità. Come Marlon Brando, Philip riusciva ad esprimere la poesia delle vere emozioni.

Philip ci colpiva, anno dopo anno, con magia costante, trasformandosi in ogni personaggio. Ciò che lo ha portato ai livelli camaleontici di Daniel Day Lewis, Meryl Streep e Benicio Del Toro è stato il suo metodo scultoreo di recitare. Con scultoreo intendo dire che i suoi personaggi hanno incisa su di sé questa insita complessità. Da The Master a Alla Fine Arriva Polly, tutti hanno la stessa indelebile qualità. Come disse Michelangelo a proposito delle sue opere: "Ho visto un angelo nel marmo e l'ho inciso fino a liberarlo." Così i personaggi di Philip—come fossero persone reali che vivevano le loro vite straordinarie e strane e poi fossero portate sullo schermo per mostrare gli aspetti più intensi di se stesse. Ma Philip non ci dava solo realismo. Riponeva su ogni personaggio una patina di grandezza, il che rimanda all’idea della scultura—le sue interpretazioni avevano una qualità lapidaria. Personaggi duri, più della gente reale, ma allo stesso tempo colpiti da un'intima scintilla di umanità. Più umani degli umani.

I suoi personaggi poi erano sempre al servizio dei film in cui vivevano. Philip non voleva mai fare il mattatore, ma inevitabilmente la sua interpretazione esplodeva fuori dal contesto. Infatti la prima cosa che di solito si ricorda di un film con Philip Seymour Hoffman è la performance di Philip Seymour Hoffman.



Ho scoperto Philip per la prima volta in Profumo di Donna. Ma è stato il seguace di Dirk Diggler in Boogie Nights che mi ha davvero impressionato. Lui che si castiga per provarci con il Dirk di Mark Wahlberg è uno dei momenti più toccanti del film. Ma tutto quello che ha fatto è straordinario. Pensate alla faccia cattivissima che fa a Matt Damon ne Il Talento di Mr. Ripley, quando Matt e Jude Law deviano verso il reparto jazz nel negozio di dischi. Era così cattiva e così perfetta. O come discute in mensa ne La Guerra di Charlie Wilson per dare un senso della realtà. O l'espressione soddisfatta sulla sua faccia rossastra di prete mentre beve vino ne Il Dubbio. Ma la mia interpretazione preferita di Philip resta quella di Lancaster Dodd in The Master. E' la mia preferita perché è il suo lavoro migliore con il suo collaboratore migliore, Paul Thomas Anderson. La performance ha un potere etereo, forse più grande della parte stessa. Lancaster Dodd era un genio e un folle—che poi è la prima metà dell'equazione Philip Seymour Hoffman: Genio? Sì. Folle? No. Dicono che fosse una delle persone più dolci in circolazione.

L'ultima volta che ho incontrato Philip è stata al Bar Centrale, il ristorante di un teatro. Era lì con un gruppo di amici che includeva Chris Rock, Zach Braff e un mucchio di altri grandi attori di teatro. All'epoca avevo letto che Philip era stato in rehab per disintossicarsi dall'eroina. La notizia mi lasciò sotto shock, perché non ti verrebbe mai in mente che una persona riconosciuta da tutti come straordinaria, abbia questo tipo di problemi. Ma è una considerazione stupida, perché le dipendenze se ne fregano di che tipo di personalità hai. Sono una malattia, non hanno nulla a che fare con la volontà, la classe sociale, l'intelligenza o lo stile di vita di ognuno. Non ho idea di quello che gli sia successo prima che fosse trovato morto, ma un mio amico mi ha detto di averlo visto il giorno prima e gli sembrava felice. Questo mi dice che Philip non era il tipo da gettare la spugna. Non ha buttato tutto all'aria. Era solo una persona, una persona molto speciale, ma malata. La sua morte ci sconvolge perché la sua grandezza lo rendeva invincibile ai nostri occhi. A dire il vero, tutte le cose incredibili che ha fatto dovrebbero garantirgli una seconda chance.

Riposa in pace Phil, vivrai per sempre nel fuoco del tuo lavoro che ci ha infiammato il cuore.

©VICE, traduzione italiana Chiara fasano

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